Luigi Broglio: l’uomo che mandò in orbita l’Italia.

Generale Luigi Broglio. (Credit: Rai Cultura)

Era il 15 dicembre 1964 quando nelle Wallops Island, in Virginia (USA), tramite un vettore americano Scout, il satellite San Marco veniva lanciato in orbita. Con un progetto interamente italiano, il San Marco rese il nostro paese il terzo, dopo URSS e Stati Uniti, a lanciare in orbita un satellite. Prima di allora soltanto il Regno Unito (Ariel 1) e il Canada (Aloutette 1) avevano mandato in orbita dei satelliti propri, costruiti però con un supporto ingegneristico e logistico statunitense.

La mente dietro al progetto San Marco fu Luigi Broglio. Nato a Mestre, si trasferì a Roma dove si laureò in ingegneria civile nel 1934 con una tesi sul metodo delle forze bilanciate, sistema che permise di calcolare con precisione le sollecitazioni sulle ali a freccia e gli garantì di entrare nell’aeronautica nel 1937. Dopo l’armistizio dell’8 settembre si unì alla Resistenza con il gruppo comandato da Paolo Tavani. La sua tesi non fu apprezzata soltanto in Italia, ma anche negli USA dove ottenne un grande successo, che gli garantì l’invito come visiting professor all’università di La Fayette nel 1950 e la collaborazione con l’USAF nel ’51, per uno studio sulle forze aerodinamiche tangenziali a velocità supersoniche. Fu così che strinse rapporti con molti importanti membri della neonata NASA.

Specializzatosi negli USA nel ’52, Luigi Broglio tornò in Italia e fondò la prima scuola di ingegneria aerospaziale a La Sapienza di Roma. Nel ‘56 venne incaricato dal Segretariato Generale dell’Aeronautica di iniziare, per lo Stato italiano, gli studi sui razzi e sulle attività aerospaziali in occasione dell’anno geofisico internazionale. Grazie ai suoi contatti, fu il promotore del protocollo d’intesa firmato nel 1962 da CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche), CRS (Commissione per le Ricerche Spaziali) e NASA che sarebbe poi diventata una partnership firmata dal Ministro degli Esteri Attilio Piccioni e l’allora vice del presidente Kennedy, Lyndon Johnson. Questa cooperazione prevedeva la cessione del razzo vettore Scout, la progettazione di otto esemplari del satellite San Marco e la formazione di settanta tecnici italiani nei centri statunitensi. Pare che, per motivare il finanziamento di 4,5 miliardi di lire chiesto al premier Fanfani, la risposta di Broglio fu: “per farlo prima dei francesi”.

San Marco 1. Credit: NASA

I satelliti San Marco (ne furono lanciati 5 tra il 1964 al 1988) permisero di condurre studi sulla densità dell’aria ad alta quota (grazie anche alla Bilancia Broglio), il profilo della densità elettronica della ionosfera e la localizzazione delle sue irregolarità, pressione e temperatura dell’atmosfera e la sua composizione tramite uno spettrometro di massa, il monitoraggio della radiazione solare e altri fenomeni. L’Italia non aveva però un centro di lancio sul territorio nazionale, anche perché le parti del parti del razzo sarebbero poi ricadute sugli stati limitrofi se lanciate dal nostro paese. Per questo motivo Broglio sfruttò molte delle sue conoscenze e sin dal secondo lancio del 1967 venne usata una piattaforma oceanica a largo di Malindi in Kenya, chiamata “Progetto San Marco”.

Piattaforma San Marco. (Fonte: Wikipedia)

Il centro a Malindi era composto da due segmenti: uno terrestre dove erano presenti gli uffici, alloggi e le antenne per il controllo in orbita e un segmento marino con le tre piattaforme oceaniche. La piattaforma San Marco, da cui avvenivano i lanci, era inizialmente una piattaforma da sbarco dell’esercito statunitense, che era stata donata a Broglio, adattata nei cantieri di La Spezia e poi trasportata via nave in Kenya. Le altre due piattaforme Santa Rita 1 e 2, distanti circa 1,5 km dalla piattaforma San Marco, erano destinate al controllo di terra; queste precedentemente erano piattaforme petrolifere che erano state concesse dall’allora presidente dell’ENI Enrico Mattei e riconvertite per lo scopo nei cantieri navali di Taranto. Curiosa l’assegnazione dei nomi delle piattaforme: il professore era molto cattolico e Santa Rita è la Santa protettrice dei casi disperati e apparentemente impossibili e San Marco è patrono della sua Venezia e protettore di tutti quelli che operano in mare. Il perché venne scelto il Kenya era dovuto alla sua posizione privilegiata per i lanci spaziali, poiché dall’equatore, era possibile sfruttare la maggiore velocità della rotazione terrestre, risparmiando così preziosissimo carburante.

Centro spaziale Luigi Broglio, Malindi, Kenya. (Fonte: wikipedia)

Dal 1988 non vennero effettuati più lanci, ma la base ha al suo attivo molteplici record: fu la prima piattaforma oceanica dalla quale venne effettuato un lancio di un satellite, da qui venne lanciato il satellite Uhuru il primo progettato interamente per lo studio dei raggi X e inoltre nessuno dei 20 lanci effettuati fallì.
Dal 2019 nel centro è stata installata una nuova parabola in banda S che dà supporto ai lanciatori Ariane 6 dell’ESA e Falcon Heavy della SPACE X.
Il professor Broglio si dimise dall’ASI nel 1993, dopo che questa ridimensionò i suoi progetti sulla creazione di un vettore completamente italiano per appoggiare la progettazione del vettore europeo Ariane. Il centro dal 2001, è stato rinominato Centro Spaziale Luigi Broglio, in onore al suo fondatore dopo la sua scomparsa.

Broglio fu probabilmente la personalità più importante per la scienza aerospaziale italiana, nonostante il carattere chiuso e formale, riuscì a trasportare l’Italia, da un paese distrutto dopo la seconda guerra a uno dei paesi con una delle agenzie spaziali tra le più importanti nel panorama globale, l’ASI. Per questi motivi ci piace ricordare Luigi Broglio con l’onorevole e affettuoso titolo di “Wernher von Braun italiano”.

Fonti: 

Paolo Romagnoli

Lavoro con la cooperazione internazionale, ma principalmente lo faccio per poter sdraiarmi a vedere stellate sempre diverse in giro per il mondo. Da sempre appassionato di storia delle missioni spaziali, ascoltatore seriale di podcast e cercatore degli aneddoti più strani e curiosi che poi sento il bisogno di raccontare a tutti. Da piccolo volevo fare l’astronauta, ma al liceo ho capito che la fisica e la matematica non erano per me. Amo la divulgazione in qualsiasi forma, anche se preferisco quella fatta a voce davanti a una buona birra.

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